dimanche 31 octobre 2021

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Lo Sguardo Delle Muse

Una ibridazione espositiva

, Franco Cipriano

…perché la terra è un tavolo divino,
fremente per nuove parole creatrici e per divini lanci di dadi…

... Car la terre est une table divine, tremblante de nouvelles paroles créatrices et d’un bruit de dés divins.

F. Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra - 1883

Lo sguardo delle Muse par Martial Verdier from TK-21 on Vimeo.

“Lo sguardo delle Muse” espone un percorso di articolazioni plurali dei linguaggi dell’arte contemporanea che evidenziano come le singolarità espressive, le molteplici tensioni del ‘pensiero visibile’, siano nel loro differirsi l’eco della memoria ‘polifonica’ delle forme del fare immaginante.
Come commenta Daniela Calabrò, le Muse « non possono che essere plurali le arti, così come i saperi e tutti vanno protetti, di tutti va costituita memoria, riserva intellegibile dell’uomo. Le arti, i saperi dicono la pluralità del mondo, il suo non essere totalità identitaria di senso, ma pluralità, ogni volta singolare, di significati, di direzioni, di rivolgimenti e di scambi. Arti e saperi sono molteplici perché si spostano di luogo, "shiftano" un possesso, dismettono una verità assoluta. Le Muse incarnano questa origine plurale del mondo, della sua storia, del suo senso. E volta a volta precipitano nei sensi che abbiamo a disposizione, quasi erigendo un vessillo. "Le Muse, scrive Nancy, prendono il loro nome da una radice che indica l’eccitazione, la tensione viva che s’impenna, si fa impazienza, desiderio o collera, che arde per sapere e fare. […] La Musa anima, solleva, eccita, mette in movimento. Vigila più sulla forza che sulla forma. O meglio : vigila con forza sulla forma. Ma tale forza erompe in diverse forme. Si dà, improvvisamente, in forme multiple. Ci sono le Muse, non la Musa" [1]. Ma questa forza, questa eccitazione, questa messa in movimento appartengono al femminile…tutto qui ha volto e corpo di donna. Le nove Muse rappresentano la procreazione o la creazione plurale del senso del mondo ; rappresentano la nascita, la provenienza, il da dove, l’a partire da che del mondo sensibile. »
Lo sguardo delle Muse dunque è una ‘potenza’ che accade incarnandosi ‘distintivamente’ nell’actus delle opere. Opere tanto più legate al possibile che le genera quanto più esponendo gesti e forme diverse, differenti e risuonando le une nelle altre, nel loro plurale esporsi, eccedenti la loro ‘formale’ separazione.

Nell’articolarsi delle origini delle espressioni in dialoghi, incroci e interferenze le Muse, nella loro com-posizione, si ‘attraversano’, riflettendosi l’una nel corpo nell’altra, generando non opere compiute, de-finite, bensì eventi del fare, accadimenti delle forme possibili. È la trama ‘contemporanea’ dei linguaggi, i quali diffrangono la loro ‘tradizione’ nell’incrociarsi di echi e riflessi dei segni e materie di altri ‘corpi’ linguistici.

Se la presenza dell’arte è una ‘narrazione’ storicamente determinata, le sue origini dunque dicono di gesti immaginativi che in tempo ‘arcaico’, nelle radici del ‘senso umano’ — tra canto, danza, immagini, segni, forme — manifestano la necessità del possibile, come evocazione mitica, visione della natura e via ‘altra’ della conoscenza .

La ‘natura’ del mondo è ibrida, una stratificazione di forme viventi, terra, miti e sapere. Le sue iscrizioni ‘sacre’ sono nella storia del sensibile e del pensabile. La vis animale, la proliferazione vegetale, la inventio tecno-logica. La via della meraviglia conoscente, sperimentale ed errante, inquieta ricerca che sfugge ad ogni sistematica definizione della Verità. È nel gesto generante, rivolto all’aperto del senso delle cose, che l’arte ibrida il suo ‘corpo’ tra mito, natura e scienza, facendosi essa sua verità, imprevedibile e inconsolabile, aperta alla sua stessa catastrofica apocalissi. Dove si fa ri-velazione accede anche al suo ulteriore oltrepassarsi.

Nel diramarsi dei linguaggi e dei loro dispositivi operativi si rivelano le persistenze e le mutazioni del senso dell’opera d’arte, declinata su molteplicità del fare ‘creativo’ come ‘gesto esperienziale e ‘generatore’ dell’ altrove delle cose.
Nello “sguardo delle Muse”, nel ‘desiderio originario’ di essenzialità dell’arte come “mundus imaginalis” — mondo dell’altrove — i linguaggi dell’arte riflettono la loro ‘potenza’ del possibile, per altre forme e nuovi segni. Nel realizzarsi del gesto espressivo generativo di ulteriorità ‘ri-conoscente’ del senso e non-senso delle cose, si attraversano vie imprevedibili che aprono inaudite visioni del fare e del percepire. È la rivelazione di un “altro sguardo” che l’arte, nella sua eccedenza dai sistemi dei dispositivi univochi del visibile, cerca di generare, ‘aprendo’ dimensioni sconosciute del ‘sentire’, nel paradosso del ‘dentro e oltre’ lo scenario ordinario del mondo quotidiano. Il farsi delle espressioni è memoria dell’enigma del loro ‘concepimento’, icona del desiderio ‘riflessivo’ dell’amore per l’altro, eco della ‘originarietà’ e del destino della “volontà d’arte” come nascimento di ‘altre presenze’. Le opere de “Lo sguardo delle Muse” sono un percorso ‘polifonico’ dell’esperienza artistica che risuona della sensibilità ‘differente’ del femminile, grembo-radice d’infiniti ‘nuovi mondi’. In ‘ascolto’ delle profondità invisibili, nelle opere ‘sensibili’ nell’arte persiste una ‘utopia’ del senso delle cose, che traluce tra materie e segni, tra immagini e forme, tra corpi e luci. Nella luce d’ombra del suo manifestarsi, lo ‘sguardo delle Muse’ riflette l’inspiegabile del mondo – o, forse, potentemente lo ‘crea’, volendo ‘amare’ l’impossibile nelle sue ‘misteriose’ sorgenti.
Tra le spirali, le pieghe, le fratture, i frammenti, le visioni, le metamorfosi, risuona l’enigma : l’arte ‘dice’ o ‘è detta’ ? Fa nascere il possibile, oppure è ‘essenza’ dell’impossibile, un respiro sempre ‘eccedente’, eco di un pre-umano dell’umano, nel tempo e oltre il tempo, in un non-dove nel quale natura, mito e scienza hanno il loro arcaico inizio. “Lo sguardo delle Muse” è evento di ‘gloria’ della memoria ‘sacra’ dell’arte.

I segni, le visioni, i corpi e le materie

Sara CANCELLIERI Senza titolo blu, 2021
olio su tela, cm 240x177

Sara Cancellieri
Nella pittura di Sara Cancellieri è ‘segnata’ la fluttuazione della natura naturans, dove il ‘senso’ è in sé e per sé concepito, nel mare, nell’erba, nel cielo. Nel suo gesto è deposto il moto naturale della radice madre che tende all’andamento circolare dove ‘tutto ritorna’, in un infinito generarsi. Come se nel gesto pittorico la materia si legasse, nel suo formarsi e modificarsi, al circolo cosmico terrestre, riflesso dell’avvitarsi delle costellazioni, delle nebulose e delle comete.

Daniela CONTE Anni venti, 2021
tecnica mista digitale, cm 40x30

Daniela Conte
Le stratificazioni frammentate delle carte di Daniela Conte sono un palinsesto della storia delle immagini, che lacerandosi si incrociano, compongono una geografia di smottamenti figurali in agglomerati della memoria, in spazio stratificato che disfacendosi ri-costruisce forme, incroci e interferenze. Un’apocalisse del senso, una ri-velazione di storie impreviste del sottosuolo del visibile, un corpo immaginale che si espande e contrae come una proliferante cartografia del dis-senso comunicazionale. Le immagini del tempo sono una stratigrafia di frammenti che fratturano lo stesso senso del tempo.

DAFNE Y SELENE Per restituire & Sorelle, 2019, pollittico,
stampa fineart su hahnemuhle photo matt fibre 200 g, passpartout, cornice bianca e vetro, cm 104x100

Dafne y Selene
Il mito del doppio rivive nell’opera ‘gemellare’ di Dafne y Selene. La natura genera le sue originarie eccedenze ‘creative’, dove identità e differenza si sovrappongono, si incrociano fino a fare dei corpi e della loro natura un tableaux del riconoscimento dell’altro. L’operare di Dafne y Selene è nel tempo di una ricomposizione della physis, tesa sull’ orizzonte immaginativo e concettuale della storia del tempo terrestre, in tracce iconiche che hanno la tonalità di reperti. I loro polittici sono scansioni d’istanti, soglia tra il prima e il dopo del tempo cronologico, dove l’immagine si separa dal suo contesto di provenienza. Si riquadra in superficie prismatica che interroga sull’unità plurale delle cose.

Antonio DAVIDE Affissione paesaggio x 10
2020, stampa digitale su tela, cm 100x120

Antonio Davide
L’opera di Antonio Davide ha una espansione performativa, mette in scena il corpo riflessivo nell’ actus scrivendi. La storia dell’artista è attraversata nel suo corso da una esperienza singolarissima di scrittura scenica che ha segnato una pratica di azioni e ‘gesti’, rivolti alla emergenza della contemporaneità ma densi di evocazioni ed echi di memoria.
Le sue recenti ‘affissioni’, con i loro ‘messaggi’ di critica del linguaggio informazionale, artistico e culturale, ne sono ri-evocazione coerente ma di inedita concettualità. La parola non diventa solo ‘visione’ ma è eco performante del pensiero, che sostiene uno sguardo sulla ‘decadenza’ relazionale del presente. Dalla dispersione della parola di densità comunicativa, Davide opera una contro-entropia, fa riemergere iscrizioni di diramazione del senso.

Max DIEL - Amazon, Picture me, PompeJi, 2020
olio su alluminio, cm 32x42

Max Diel
La presa ‘in diretta’ sulle cose è lo sguardo della pittura di Max Diel. Restìa ad ogni mediazione concettualistica, l’immagine nella sua evidenza incontra le cose e ne accoglie l’enigmatico manifestarsi. Max Diel sospende oggetti e corpi nella spazialità di una diffrazione del tempo, dove ciò che è evidente appare nell’oscillazione del senso, nella materia ibrida della pittura, tra stabilità figurale e astrazione immaginale.
“Il finito in quanto tale si pone sempre come oggetto evanescente”, indicò Blanchot. “Il quotidiano che sfugge” si rapprende nella pittura come materia oggettivata, come ‘cosa’ che si sottrae al tempo e allo spazio, si fa immagine dell’immagine, in un doppio movimento che trapassa il rappresentarsi del mondo e ne rappresenta le ‘figure’ come enigmi della pittura medesima, tra individuazione e tradimento, tra apparizione e nascondimento.

Gaetano DI RISO Era radice, 2021
trittico, olio su tela, cm 196x85

Gaetano Di Riso
L’iper-simbolismo di Gaetano Di Riso si rivela in una rappresentazione che ‘cade’ in se medesima : simbolismo del simbolo. Una narrazione immaginativa, in un trittico di visioni simmetriche, come proiezioni di una memoria circolare, dove il tempo diviene evocazione, risonanza dell’inconscio collettivo che traspare in archetipi di panteismo immaginale. La narrazione iconica di Di Riso è la manifestazione del sostrato magico del tempus naturalis, dove le cose e il pensiero levitano nel simbolico, si collegano alle forze sconosciute dell’anima della terra. La gloria, il cosmo, l’amore e la morte si dissolvono gli uni negli altri come in un richiamo di forze occulte eppure luminescenti, in una luce proveniente dalle cose che la estendono in un fontale, imperscrutabile fondo-radice.

Vincenzo FRATTINI Ovale, 2021
polittico, tempera su tela e legno

Vincenzo Frattini
L’istallazione di Vincenzo Frattini espande lo spazio con ovoidi che conducono, nella loro vagante traiettoria, verso un’orbita generativa della forma della luce. Si dirama un cosmo di grembi policromi, habitat di lirica emanazioni di luce, coronate da aureole che segmentano i colori e li legano in un circolo analitico. La pittura di Frattini è scientia del fare che intona canti polifonici. Dove “la pittura non celebra mai altro enigma che quello della visibilità” (Merleau Ponty). Tutto è nello sguardo e per lo sguardo. Non v’è profondo se non di superficie. Se si sospetta una simbolica, essa ha l’immanenza del gesto costruttivo. Si riflette obliquamente nell’opera, emanata da archetipi generanti forme, segni, geometrie. In spazi unici e plurali, in estensioni di ‘altri orizzonti’ dove scienza tecnica, natura e mito s’incontrano nella loro prima essenza. Una specie di mondo parallelo. Dimore chiarissime dell’altrove ?

Michele GIANGRANDE The hyperzoo, 2019/2020
shortfilm, durata 14:21 min

Michele Giangrande
Il video di Michele Giangrande è un apologo sulle aporie della ‘civiltà’. Una dimora delle storie del presente diviene box di partecipazioni nei passaggi dei visitatori. Contaminazioni immaginative tra il corpo dell’artista e lo spazio che, come in uno shooting, in gesti tra ieratici e mimetici, sospesi in movimenti di risonanze animali, immettono lo sguardo in oscillazioni di senso, come un rituale di cortocircuiti memoriali.
Hyperzoo è visione del tempo “post-umano” che coarta la memoria sociale, ne modifica l’esperienza in un ‘controllo’ confinante delle interazioni. Il corpo dell’artista si espone nella gestualità ibrida, umana-animale, come un corpo ‘segregato’ nello spazio virtuale della storia del presente. Giangrande invita all’iscrizione della ‘concreta’ esperienza umana, come atto di r-esistenza in una deriva distopica di “apocalisse sociale”.

Lello LOPEZ Numi Tutelari, 2021
acrilico e stampa su tela, cm 115x95

Lello Lopez
Nell’opera di Lello Lopez, l’ibridazione ‘tecnica’ produce un dispositivo di visibili incroci di senso, in paradossi figurali che mettono in bilico memoria e presente, ricostruendone le temporalità, e scambiandone le percezioni. l’opera tra il presente che rinunciando ad ogni tensione tragica portano il linguaggio oltre la soglia del soggetto, destinandolo a registrazione delle illusioni e delle apparenze. Lopez rivela l’ambiguità costitutiva dell’arte, in cui il reale – la banalità del reale - è ‘abbordato’ dallo svuotamento di senso e in questo “falso movimento” l’opera indica la instabilità della visione. “Devo dunque parlartene ma per enigmi” (Platone lettera a Dionigi). È un ‘programma’ di visioni che s’incrociano, sovrappongono, sfuggono a se stesse, scontornate nell’ irrappresentabilità del rappresentabile.

Salvatore MANZI Linealità, 2018, dittico
tempera su tela sagomata, diametro cm 18 circa

Salvatore Manzi
Il segno di Salvatore Manzi è orma originaria del gesto trascendente, è il ‘silenzio’ non solo prima dell’immagine ma fuori di ogni ‘immaginazione’. Icona della ‘divina luce’, la pittura di Manzi significa il pensiero dell’invisibile, la soglia del sensibile che accede all’infigurabile.
Dove “Il senso è invisibile, ma l’invisibile non è il contrario del visibile : il visibile ha esso stesso una membrana di invisibile, e l’in-visibile è la contropartita segreta del visibile”, ha pensato Merleau-Ponty. Nessuna immagine è possibile, la sua ‘impossibilità’ è la radice paradossale della sua singolarità di linguaggio. Quando l’arte si ‘dice’, si espone, come opera dell’addio e del ritorno. Sottrazione immaginale che l’apre al silentium de-soggettivato di una radura dell’ascolto. Le sue cartografie orbitali sono la scriptura di una segreta preghiera rivolta al Dio possibile.

MaraM My honey, 2010
Video performance

MaraM
“Il corpo è per l’anima lo spazio natìo e la matrice di ogni spazio esistente” (Blanchot)
Nel gesto performativo di MaraM l’anima generante ‘si esprime’ come corpo generato , nel legame naturale che li annoda sono coinvolti anche lo spazio e la memoria, le cose e gli sguardi che ‘l’anima corporea’ interroga e suscita.
Il corpo di MaraM è corpo ‘mitografico, manifesta la sua arcaica originarietà reinventando la propria possibilità espressiva, lacerandosi e contaminandosi, modificandosi e trasmutandosi.
Si dona all’evento del ‘meraviglioso’ nella sua radicale ‘innocenza’ di significante. Se “l’arte è essenzialmente una metamorfosi… una metamorfosi dell’identità ; e perciò è l’orizzonte di una infinita diversità, di una infinita trascendenza immanente nell’infinita negazione, nell’infinita identità ( come l’immagine)”, la video performazione di MaraM restituisce l’immagine corporea alla sua potenza trasmutativa.

Pierpaolo PATTI, Stardust, 2021
installazione spaziale, video e materiali vari

Pier Paolo Patti
La camera di Pier Paolo Patti è il luogo del pensiero che riflette l’ esperienza tragica della storia. I frammenti dell’accadere sono deposizioni di resti e reliquie, archivi stratificati della memoria lacerata. Il nudo ferro del tavolo che fa centro nello spazio come un altare di una liturgia senza Dio, è il piano dove ‘cadono’ il senso e il dis-senso delle azioni storiche. Tra il cumulo di pietre, resti di un’antica lotta o di una catastrofe della città, e la macchina ‘anacronistica’ della scrittura lasciata alle trascrizioni del visitatore, passa l’oblìo del tempo e insieme la sua resurrezione negativa, come mancanza, assenza dei nessi e degli incroci, come se ogni ‘segno’ fosse l’orma di un evento mai avvenuto ma che lascia nella storia umana le sue risonanze e gli echi, in un paradosso di trasposizioni temporali e di archivio delle assenze. Anche il video della natura umana concepente relegato ai margini della cerimonia centrale, è il frammento ormai slegato, separato, del mistero della nascita.

Mena RUSCIANO
Performance Dance

Mena Rusciano
“Il corpo è per l’anima lo spazio natìo e la matrice di ogni spazio esistente” (Merlau Ponty). La video danza di Mena Rusciano testimonia la sorgenza corporea come iscrizione spaziale del gesto, nel suo formarsi e evocare se stesso come ‘prima radice’ della relazione con la terra, antecedente le forme nominali del linguaggio, arcaica ed ‘eterna’ conoscente espressione umana.
All’inizio è la danza, lo spazio corporeo. Il primigenio “movimento” che cerca di toccare il passaggio tra il Caos indifferenziato e il mondo nascente. Su questo confine, interno al corpo stesso, tra corpo-segno e corpo interpretato, il movimento di Mena Rusciano s’incrocia con le liquidità aquea e da essa, in essa è trans-formato, dilatato, smembrato, doppiato. Il corpo danzante ‘accade’ in metamorfico spazio. Il gesto innalza e atterra le sue ‘figure’ come in un canto di dissolventi variazioni tra alti e bassi. Nel “tempo sospeso” della danza, soglia della mimesis — forza immaginativa — germinano, nelle figure molteplici del mutare, manifestano il mistero dell’unione-distacco tra l’umano e la terra.

Romano SAMBATI, eilgof elled erolod lI, 2021
tecnica mista su carta, cm 100x70

Marcello Sambati
Le tracce di un paesaggio dell’anima sono i segni mormoranti della pittura di Sambati. La superficie è pelle che si frange e si riassesta, originando ferite e grumi di materia. Le parole sono contro-parole, ribaltate come a indicarne la instabilità di senso, che lascia nelle parole il loro silenzio.
Come una sorta di scrittura visiva che, immersa ed emersa nella liquidità della materia e nelle graphie, fosse senso mappa del gesto di-segnante, che ‘custodisce’ il vuoto del foglio bianco. con un’originante diramazione delle linee, dei flussi ed espansioni del ‘colore’. Lo spazio si forma e allo stesso tempo si ritrae, con un’originante diramazione di linee , di flussi ed espansioni di tracce segnico materiche, come ‘topografie’ di luoghi inaccessibili del pensiero senziente. In trasudamenti del fondo con i frammenti verbali incrociati nei grumi dei segni o a margine di essi, appare una soglia in-visibile del senso. L’opera è grembo che sospeso nel suo tremito ‘impossibilmente’ generante, ma riflettente nell’impossibile la memoria sacra del suo nascersi per ‘far nascere’.

Martial VERDIER, Femmes sauvages
con il personaggio performer innuit siniswichi.
Body painting e fotografia, cm 110x150

Martial Verdier
La natura che fotografa Martial Verdier è lo stato primordiale della ‘vita erothica’. Il bosco, la foresta, il fiume, le montagne sono non il fondo naturistico dei corpi ma la loro diramazione mitografica. Nascono in quel fondo e sono icone di quel fondo, ‘incarnano’ quel fondo. È il ‘fondo’ stesso, dunque, che attraverso il processo di camera fotografica si rivela come materia e come immagine di se stesso, risultante di una serie di ‘conturbamenti’ della luce, di alchemica nigredo e albedo, trasmutante in flussi cromatici che attraversano le cose rivelandone una fluttuazione temporale, tra memoria e presente. Nessun tempo è stabilizza le immagini, esse ‘vivono’ di un altrove immemoriale che ‘abita’ la memoria mitica del visibile. Emersioni trasfiguranti del femminile dionisiacamente sospese nella superficie profonda della luce fontale. Con apollinea levità corporea. Come corpi richiamati alla loro originaria e generante ‘natura’ madre.

Salvatore VITAGLIANO, S-guardo, 2020
olio su tela, cm 100x60

Salvatore Vitagliano
L’opera di Salvatore Vitagliano è il mistero medesimo della pittura, che mentre indica nasconde e interroga. La sua nuda ‘Musa’, o Ninfa perturbante, ha lo sguardo rivolto al non vedibile. Sguardo profetico, che vede al di là del suo orizzonte finito. Sembra strabico, sembra guardare allo stesso tempo davanti e in obliquo. È oltre l’evidenza che, nelle figure di Salvatore Vitagliano, lo sguardo interroga ciò che vede. Doppiezza del vedere, avanti e allo stesso tempo oltre, a lato, in giù e in su. È lo sguardo multiforme delle Muse, che si sposta come la mossa del cavallo, eccedendo la univoca via del senso delle cose, trasversandole nello stupore dei loro enigmi e facendo dell’immagine una icona della pittura medesima, pittura come restituzione alla ‘ambiguità’ del senso, dove le figure sono sprofondate nella loro alterazione.

Notes

[1J-L. Nancy, Le Muse, tr. it. di C. Tartarini, Diabasis, Carpi 2006, p. 19

esposizione
1 ago / 12 sett 2021
Palazzo Ferrari, Parabita (Lecce), Puglia - Italia