samedi 5 novembre 2016

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L’eterno ritorno di due cupole

, Claudio Gobbi et Sophie Jung

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A Parigi, dove vive una delle più numerose comunità armene fuori dall’Armenia, la chiesa apostolica si presenta con un edificio imponente. La cattedrale di Saint Jean Baptiste sorge nell’ottavo arrondissement, a pochi metri dalla Senna e non lontano dalla torre Eiffel.

La costruzione in rue Jean Goujon è possente. La facciata presenta un protiro con volta sostenuta da due massicce colonne di granito. Il suo frontone è ripreso nella copertura della navata. L’elemento più caratteristico di questa architettura è la torre che si erge al centro. Il tamburo ottagonale è slanciato, scandito da una corona di monofore con arco a tutto sesto. Gli ornamenti sono abbondanti : aquile ad ali spiegate vigilano agli angoli dell’ottagono, le finestre sono collegate da una fascia a motivi geometrici, mentre un fregio floreale corona il tamburo. In cima, la cupola con la sua copertura verde piramidale e in punta, a 31 metri di altezza, una grande croce dorata.

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È un edificio singolare, che deve aver colpito anche Claudio Gobbi. L’artista ha deciso di includere nel suo inventario un’immagine storica della cattedrale parigina. Le geometrie chiaramente definite, la composizione paratattica e la cupola posta sopra la crociera ricordano il tardo romanico. Il lessico ornamentale mescola invece elementi decorativi barocchi, romani e selgiuchidi : la cattedrale si distingue infatti per un mélange storicistico di diversi stili. L’architetto Albert Désiré Guilbert, il quale poco prima aveva progettato in rue Jean Goujon una cappella neobarocca, utilizzata come luogo di culto cattolico, fuse nella Cathédrale Saint Jean Baptiste stilemi romanici, barocchi e neoclassici a lui ben noti, con una tradizione architettonica per lui inedita : nel 1902 Guilbert progettò la chiesa parigina avendo a modello la cattedrale Armena di Echmiadzin, senza averla mai visitata di persona. La costruzione fu commissionata dall’arcivescovo parigino Vramchabouh Kibarian d’Artchouguents e dal patriarca apostolico armeno, con il sostegno economico del magnate del petrolio Alexandre Mantachian. Nel 1904 si celebrò la prima messa in rue Jean Goujon.

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L’edificio costruito da Guilbert per la comunità apostolica armena a Parigi non è l’unico che prende a modello la cattedrale di Echmiadzin. Sfogliare le fotografie di Claudio Gobbi ci porta a Leopoli, Bucarest, Marsiglia e Il Cairo, dove incontriamo altre chiese armene che ci riconducono alla città di Echmiadzin, pur trovandosi al di fuori dell’Armenia storica e della Repubblica odierna. Sparsi in tutto il mondo, questi edifici sono espressioni e testimonianze della Diaspora armena.

L’eterno ritorno della costruzione originaria di Echmiadzin evidenzia la forza iconica di questa cattedrale, la cui edificazione risale ai tempi della cristianizzazione, quando nel 301 re Tiridate III, sotto la guida spirituale di san Gregorio l’Illuminatore, proclamò il cristianesimo religione di stato di un territorio che andava dalla Cappadocia al Mar Caspio. Si ritiene che la cattedrale sia stata costruita come prima sede spirituale della cristianità (apostolica) ancora prima della svolta costantiniana del 313, e che più tardi a Echmiadzin il monaco Mesrop Mashtots abbia inventato l’alfabeto armeno nonché lavorato alla prima traduzione armena della Bibbia, che sarà completata nel 436. Echmiadzin è un luogo di importanza nazionale : è lì che si sviluppano la religione, ovvero quella chiesa apostolica che tuttora porta avanti una propria interpretazione del messaggio cristiano, e la lingua armena. Questo luogo si rispecchia nella sua cattedrale, la cui struttura architettonica ritorna come modello diventando un simbolo dell’identità nazionale.

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Grazie ai resoconti dei viaggiatori, nel XVII secolo Echmiadzin divenne celebre anche nell’Europa occidentale. L’Armenia storica è stata contesa nel corso dei secoli da varie potenze : bizantini, persiani, turchi e russi hanno di volta in volta rivendicato la propria autorità su questa regione. Solo per brevi periodi si sono formati regni armeni indipendenti, che dalla metà del XIV secolo sono spariti del tutto. Guerre e catastrofi naturali hanno trasformato molti edifici sacri in rovine sparse per il paesaggio caucasico ; altre chiese invece sono state utilizzate ininterrottamente nel corso dei vari avvicendamenti storici [1]. Per gli occidentali che viaggiavano in quelle terre, il paesaggio architettonico armeno era ricco di visioni inconsuete [2]. Nel 1655 Echmiadzin apparve al mercante francese di pietre preziose Jean Baptiste Tavernier come il “primo luogo singolare che si incontra viaggiando verso la Persia e attraversando l’Armenia” [3]. I suoi resoconti di viaggio suscitarono l’interesse di un ampio numero di lettori nella Francia del tempo [4]. Tavernier descrive l’architettura della cattedrale, la quale anche sotto la dominazione persiana era sede del Catholicos e centro della chiesa apostolica armena, come una struttura a pianta di croce, come tutte le altre chiese armene, non molto grande ma costruita senza lesinare sulla spesa, in pietra, sormontata da una cupola contornata da immagini dei dodici apostoli.

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La chiesa vista da Tavernier era molto diversa dalla costruzione originaria degli inizi del IV secolo. Tiridate III fece costruire la cattedrale in forma di basilica con soffitto a volta, sul modello architettonico tardoantico che si trovava soprattutto nelle aree di influenza romana. Fu solo nel V secolo, dopo la distruzione dell’edificio originale da parte dei persiani, che la cattedrale di Echmiadzin fu “fabbricata in modo di Croce” come dice Tavernier [5]. La pianta a croce greca prevede un centro quadrato dal quale partono quattro bracci di uguale lunghezza, i quali sono a loro volta inscritti in un quadrato esterno. L’edificio presenta inoltre un avancorpo porticato. Il quadrato centrale è definito da quattro possenti pilastri sui quali poggia un tamburo dalle proporzioni slanciate. Diversamente da Parigi, le dodici pareti del tamburo hanno qui un significato simbolico : all’esterno sono decorate con i ritratti dei dodici apostoli racchiusi in altrettanti medaglioni. Sul tamburo poggia una cupola coperta esternamente da un tiburio conico. Si tratta di una chiesa a pianta centrale cruciforme, realizzata in conci di pietra squadrati. La sua struttura architettonica, sia esterna che interna, il suo corpo possente e i suoi spazi si concentrano tutti sulla cupola che si eleva al centro.

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Fu solo nel 618 che la cattedrale di Echmiadzin, per volere del Catholicos Komitas, acquisì una cupola in pietra : prima di allora la cupola eretta sulla crociera doveva essere stata di legno [6]. Nello stesso anno, sotto lo stesso patriarca, a Echmiadzin fu costruita, non lontano dalla cattedrale, un’altra chiesa. Commissionata da Komitas, la chiesa sorge sulla tomba della martire cristiana Hripsimé, fatta decapitare da Tiridate III all’inizio del IV secolo. La struttura è incentrata sulla cupola [7]. In questo caso è ancora più evidente come ogni elemento architettonico punti verso il centro. La chiesa di S. Hripsimé ha schema planimetrico tetraconco e presenta un tamburo di sedici lati. Il tamburo, ampio e quasi circolare, è affiancato da absidi rettangolari con copertura a capanna. Le nicchie-contrafforti ai quattro angoli non hanno soltanto una funzione statica : alleggeriscono l’architettura e le conferiscono un aspetto arcaico. Come nella cattedrale di Echmiadzin anche qui è presente un avancorpo porticato : il suo caratteristico baldacchino con cuspide conica richiama la costruzione della cupola.
La chiesa di S. Hripsimé e la cattedrale di Echmiadzin sono considerate i più antichi edifici sacri armeni tuttora esistenti. Nel corso dei secoli questi “incunaboli” sono stati presi a modello per numerose chiese costruite nei territori abitati dalle comunità armene. “Come tutte le chiese armene”, scriveva infatti Tavernier nel 1655. Tra gli edifici con impianto cruciforme visti dal mercante francese durante i suoi viaggi figurano la chiesa di S. Stefano in Iran e il monastero di Khor Virap con la sua spettacolare cornice naturale, oggi uno dei monumenti più fotografati del Paese [8]. Anche Claudio Gobbi non ha potuto sottrarsi al fascino di questo luogo e al suo legame con il monte Ararat, fotografandolo personalmente.

La cupola e il suo tamburo – slanciato come nel caso della cattedrale o più schiacciato come nella chiesa di S. Hripsimé – è un “valore fondante” dell’architettura sacra armena, come scrisse il viennese Josef Strzygowski nel 1918 [9]. Figura controversa nel mondo della storia dell’arte, egli fu da un lato un profondo conoscitore e importante divulgatore dell’architettura armena, dall’altro il teorico di una storia dell’arte mondiale macchiata di razzismo [10]. Dopo averla studiata a lungo, egli condensò il senso dell’architettura sacra armena nel principio fondamentale : “Il centro appartiene alla cupola” [11]. Secondo Strzygowski, la cupola ha costituito “il nerbo del pensiero dell’artista armeno” [12]. Nel momento di passaggio tra il VI e il VII secolo gli Armeni acquisirono la cupola persiana e bizantina inserendola nel proprio linguaggio architettonico. Era un periodo di grande fermento culturale e di relativa pace tra Bisanzio, la Persia e il mondo arabo. Nel corso del VII secolo l’intera area d’insediamento armena vide sorgere diverse chiese a cupola : ricordiamo qui la terza importante chiesa del patriarca di Echmiadzin, ovvero la chiesa di S. Gaiané (630-643) e l’impressionante cattedrale di Zvartnots con la sua rotonda di 37 metri, costruita tra il 630 e il 660, oggi sito archeologico [13].

L’alta qualità ingegneristica e l’utilizzo di conci di tufo e pietra lavica hanno reso questa architettura resistente all’usura del tempo.

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Osservando le costruzioni conservatesi fino ai giorni nostri, si nota che a partire dal VII secolo l’architettura sacra armena subisce una cristallizzazione formale. Anche quando, tra il X e XII secolo, con il regno del Vaspurakan e la dinastia dei Bagratidi intervenne un rinnovato fervore costruttivo, le forme rimasero le stesse : pianta a croce con cupola e rotonda con cupola [14]. Cambiano le dimensioni – gli edifici sacri di questo periodo diventano più grandi e ben proporzionati gli – elementi decorativi si perfezionano. La cattedrale di Kars (929-953) è un elegante tetraconco slanciato verso l’alto con piccoli archivolti e delicati archi a tutto sesto [15]. Ad Ani, che fu capitale al tempo dei sovrani Bagratidi, si sviluppò un manierismo fondato sui canoni architettonici ideati nel VII secolo. Il tamburo della chiesa commissionata da Tigran Honents (1215) si presenta ampio e slanciato, la rotonda della chiesa del Pastore (X-XIII secolo) è coronata da un timpano continuo e la cappella del convento delle vergini (XI secolo) vanta elementi decorativi molto elaborati [16]. Ad Ani, capitale decaduta, Strzygowski trova l’espressione più alta dell’architettura sacra armena : lunga 30 e larga 20 metri, la sua cattedrale (1001) è una chiesa a pianta cruciforme con cupola e navata coperta da volta a botte. Lo storico dell’arte viennese ne elogia la fusione di pianta centrale e longitudinale come “l’orgoglio della nazione” [17].

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Ani è un mito. Abbandonata dal XIV secolo, la città oggi è una distesa di rovine nella Turchia orientale. Di quella che fu una metropoli di 100.000 abitanti restano i relitti dell’eccelsa architettura sacra armena dei secoli decimo e undicesimo. La “città delle mille e una chiesa” venne raccontata agli europei in vari resoconti di viaggio seicenteschi : la sua più antica descrizione risale al 1675 a opera di Heinrich von Poser [18]. Se prima erano solo pochi diplomatici e commercianti come il già citato Tavernier a viaggiare nel Caucaso, a partire dall’Ottocento le spedizioni di ricercatori e avventurieri occidentali nei territori armeni divennero sempre più numerose [19].

Ani affascinava al tempo i viaggiatori e li affascina ancora. Anche Claudio Gobbi ha visitato la città abbandonata, la cui posizione geografica è oggi carica di significati politici e simbolici. Nel XIX secolo Ani divenne infine il punto di partenza per lo studio scientifico dell’architettura armena. Con le loro descrizioni sistematiche, i loro disegni e le loro rappresentazioni in pianta dei monumenti, ricercatori quali il francese Charles Félix Texier (1802-1871), il britannico Henry F.B. Lynch (1862-1913) e l’austriaco Josef Strzygowski (1862-1941) posero le fondamenta per una storia dell’architettura armena che presto avrebbe preso in esame l’intero territorio dell’Armenia storica. Prima ancora della fondazione della prima repubblica armena nel 1918, in un periodo carico di avvenimenti drammatici – Strzygowski fece le sue ricerche durante il genocidio del 1915-1916 – nacque una storia del costruire secondo gli armeni fondata sulle osservazioni di studiosi occidentali. Due tra gli importanti risultati di questi primi studi furono l’individuazione di uno stile caratteristico di Ani e il riconoscimento del ruolo di modello che ebbero le due chiese di Echmiadzin per l’architettura armena [20].

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La diaspora iniziata con la fine dell’ultimo regno nel XIV secolo ha portato gli armeni in ogni angolo del mondo. La conservazione di una cultura comune, sentita e vissuta a qualsiasi distanza dal luogo d’origine, si fonda anche su ciò che di quella cultura è stato trasmesso nei secoli. I viaggiatori occidentali e, a partire dall’Ottocento, gli studiosi europei hanno avuto un ruolo non marginale in questo processo di trasmissione culturale. Albert Désiré Guilbert, l’architetto della cattedrale apostolica parigina, non era mai stato in Armenia e non aveva mai visitato di persona la cattedrale di Echmiadzin, conosceva però disegni e piante dell’edificio. Nel progettare la chiesa di rue Jean Goujon l’architetto francese si basò forse sulle ricerche di Charles Félix Texier o di Harry F. B. Lynch, perpetuando in questo modo anche a Parigi il punto di vista sull’Armenia di questi studiosi. Oggi a Manhattan è possibile visitare la cattedrale di S. Vartan inaugurata nel 1968. Questa chiesa apostolica armena situata al numero 630 di Second Avenue è incredibilmente simile a S. Hripsimé. Il suo architetto avrà mai visto l’originale dal vivo ?

Notes

[1Sulla storia dell’Armenia cfr. Annie e Jean-Pierre Mahé, Histoire de l’Arménie : des origines à nos jours, Parigi, 2012.

[2Cfr. Claudia Niederl-Garber, Wie Europa Armenien "entdeckte". Das Bekanntwerden der Kunstgeschichte Armeniens im Spiegel westlicher Reisender, Münster e Vienna, 2013, p. 19.

[3Ivi. p. 25

[4Ibid.

[5Varazdat Harutyunyan e Vazken Tutundjian, Monuments d’Arménie : de la préhistoire au XVIIe siècle A.D., Beirut, 1975, p. 29.

[6Ivi. p. 28.

[7Ivi. p. 72.

[8C. Niederl-Garber, cit., p. 26.

[9Josef Strzygowski, Die Baukunst der Armenier und Europa, Vienna, 1918, vol. 2, p. 544.

[10Cfr. Heinz Schödl, Josef Strzygowski. Zur Entwicklung seines Denkens, Vienna, 2011.

[11J. Strzygowski, cit. p. 556.

[12Ibid.

[13Cfr. Frédéric Macler, Anciennes églises d’Arménie, Parigi, 1923.

[14Riguardo allo sviluppo tipologico dell’edilizia religiosa armena cfr. Paolo Cuneo, Architettura armena dal quarto al diciannovesimo secolo, voll. I-II, Milano, 1988.

[16Ibid.

[17J. Strzygowski, cit. p. 593.

[18C. Niederl-Garber, cit. p. 18.

[19Ivi. p. 35.

[20Cfr. Ivi. pp. 44-71, 72-87, 212-221 e Amen Khatchatrian L’architecture arménienne du IVe siècle au VIe siècle, Parigi, 1971, pp. 4-10.

Frontispice : Gndevank Armenia Xe-XIe Century